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CASE MEDIEVALI. Centri fondati e tipi edilizi nell’Italia comunale (secc. XII-XV)
L’attiva collaborazione che negli ultimi anni si è instaurata tra storici, architetti ed archeologi ha consentito di mettere a confronto le diverse problematiche che riguardano la nascita e lo sviluppo della città italiana in età comunale e l’edilizia medievale. I risultati di questa collaborazione, che qui si pubblicano, costituiscono un primo momento di riflessione scientifica sul tema del rapporto tra la progettazione degli insediamenti medievali di nuova fondazione e la struttura delle case nelle sue varianti tipologiche, culturali e tecnico costruttive. La casistica, estesa all’Italia centro-settentrionale, è stata indagata con metodi pluridisciplinari, onde favorire una più stretta convergenza operativa tra i diversi settori di studio sulle problematiche inerenti il recupero dei centri storici.
Temi/Editoriale di Enrico Guidoni
Negli ultimi secoli del medioevo i comuni italiani, sia pure in modo non esclusivo, hanno promosso una intensa urbanizzazione del proprio contado (città nuove) e, contemporaneamente, una espansione urbanistica e demografica della città. Nei centri di nuova Fondazione come nelle periferie urbane comprese tra le antiche e le nuove mura, il processo di progettazione, dalla scala territoriale a quella architettonica, può essere indagato seguendone le tappe essenziali: l’acquisizione dei suoli, la delimitazione agrimensoria dell’ambito che interessa urbanizzare, l’assegnazione dei lotti ai futuri abitanti, la normativa per la costruzione delle case, e la loro effettiva costruzione nel tempo. La tendenza verso una regolarità geometrica dell’impianto e un armonico bilanciarsi degli spazi pubblici (le strade) e le abitazioni private caratterizza esperienze tra loro assai diversificate, in sintonia con la frammentazione culturale e politica dell’epoca: confronti, influenze, ricorrenze procedurali e tecniche ci confermano tuttavia della sostanziale compattezza di queste esperienze, decisiva sia per la formulazione rinascimentale della “città ideale” e delle tipologie e ormai standardizzate degli impianti urbani, sia per la sperimentazione di tipologie edilizie a schiera rigidamente basate su un assoluta ripetitività. In questa tendenza verso un progetto urbano, architettonicamente concepito come unitario nelle sue diverse fasi, e quindi affidato ad un unico pianificatore-progettista, le differenti realtà comunali italiane ci si presentano più o meno avanzate a seconda del grado di controllo politico e di aggiornamento tecnico esercitato sulla campagna e sulla citta: massimo, per far un esempio, nella moderna Firenze, minimo in quelle realtà urbane, come Roma, nelle quali convivono diverse e contrastanti forze feudali. Tra dodicesimo e quindicesimo secolo la casa schiera, dapprima sperimentata nei piccoli centri rurali, si articola in soluzioni sempre più complesse fino ad essere codificata dalla trattatistica come soluzione ideale per la residenza delle classi artigiane, in contrapposizione con l’evoluzione urbana del palazzo.[+]
Uno studio sistematico di questo complesso fenomeno dovrà tener conto anche della strumentazione tecnica e normativa, dei metodi di misurazione e di tracciamento sul terreno, delle condizioni materiali e delle tradizioni metrologiche locali che condizionano le strutture edilizie. Ogni tipo deve essere considerato frutto di una progettazione che tiene conto dei dati economici, culturali, antropologici del proprio contesto.
La singola casa, intesa come abitazione della famiglia contadina, si inserisce quindi in un disegno più vasto di organizzazione produttiva e sociale, giungendo in molti casi a rappresentare il modulo costitutivo dei nuovi insediamenti: modulo ripetuto e ripetibile mai identico a se stesso virgola in quanto assoggettato alle variabili dimensionale e costruttive, economiche e sociali. Anche dal punto di vista metrologico, mentre è evidente la volontà dei pianificatori di imporre una griglia di lotti tutti i denti che misura, è altrettanto evidente la tendenza opposta da parte dei costruttori delle case a evadere da una troppa rigorosa uniformità, sulla base di un ventaglio di specifici interessi che si riflettono anche virgola in misura maggiore, sugli elementi accessori e sulle aperture. Anche nei casi in cui l’unità di misura di base possa essere riconosciuta come unica, le case a schiera spesso presentano fronti a larghezza variabile, frutto non già di successive modificazioni del lotto ma di una correzione, all’atto della costruzione, della regolarità modulare, a vantaggio di una maggiore aderenza alle esigenze di ciascun costruttore e sempre utilizzando unità di misura intere. Invece di una serie di case di 20 piedi di fronte potremo, ad esempio, verificare oscillazioni dei lotti tra 16,18, 22 piedi, segno di una non impositiva validità dell’impianto; oppure variazioni tra diverse serie di lotti coevi, dove risulta più evidente il ruolo giocato dalla posizione. Nel XIII-XIV secolo la casa d’angolo tende già ad occupare un lotto più ampio e a sviluppare fin dall’origine due facciate, mentre i vicoli trasversali sono disegnati più ampi in modo da consentire lo sviluppo in serie di case secondarie (isolati di Cittaducale); ma fino al ‘400 ogni casa, se si eccettuano, gli esempi più poveri e uniformi, conserva in linea di massima una propria irriducibile individualità derivante, in ultima analisi, dalle tecniche artigianali e dalla diffusa autocostruzione. Solo con il primo Rinascimento le ricerche dei trattatisti (Alberti, Filarete) porteranno ad una codificazione architettonica delle case a schiera che, in definitiva, non fa che confermare portandole alle estreme conseguenze logiche e progettuali, le indicazioni emerse nei secoli precedenti in tema di definizione del primo impianto e di regolazione dello spazio urbano (regolamenti e statuti). Vengono allora imposti lotti, facciate, porticati uniformi (Portico Lungo di Carpi, case di Pienza ecc.): riflesso, anche questo, di una più rigida e accentrata organizzazione del lavoro del cantiere propria dell’età delle signorie.
È opportuno, per non perdere di vista il profondo rapporto tra tutti gli elementi che compongono, in ambito comunale, il quadro urbanistico ed edilizio, ripercorrere le fasi di progettazione dei centri di nuova fondazione a tutte le diverse scale: da quella territoriale a quella delle tecniche e dei materiali costruttivi. Per far questo mi riferirò ad un unico documento, relativo alla Fondazione di Giglio Fiorentino, in Val d’Ambra, del 19 maggio 1350: si tratta di una testimonianza storica di eccezionale chiarezza e razionalità programmatrice, conservate nell’archivio di Stato di Firenze, alla quale non corrisponde il relativo centro abitato, dato che la fondazione non poteva aver luogo. Tra i testi relativi all’impianto di terre nuove questo è uno dei più completi e, per essere scritto in volgare, dei più suggestivi. [segue]
INDICE
Case medievali
Enrico Guidoni, La città e le case
Silvia Bosi, Lorenza Di Nuzzo, La realizzazione della pianta di Città della Pieve medievale
Elisabetta De Minicis, Lo studio della casa medievale: analisi e proposte di metodo
Ugo Soragni, Fondazioni e addizioni scaligere: case e isolati a Marostica nel Trecento
Nicola Aricò, Urbanizzare la frontiera. L’espansione dalmata di Ragusa e le fondazioni trecentesche di Ston e Mali Ston
Giampiero Brogiolo, Andrea Zonca, Residenze medievali (XI-XII secc.) nel territorio lombardo
Micaela Viglino Davigo, L’opera dei “magistri misuratori” e dei “maestri da muro e da bosco” nei borghi nuovi e nei ricetti del Piemonte
Patrizia Chierici, La Villanova di Cuneo: esperienze di ricerca intorno alle metamorfosi del tessuto edilizio nel tardo medioevo
Silvia Visino, Villanova e le altre fondazioni di Albenga: strutture urbane e tipologie edilizie
Fabio Redi, Centri fondati e rifondazioni dei quartieri urbani nel medioevo: dati e problemi sulle tipologie edilizie nella Toscana occidentale
Roberto Parenti, Massa Marittima e San Giovanni Valdarno: centri fondati e tipi edilizi. L’approccio archeologico
Francesca Ugolini, La pianta del 1306 e l’impianto urbanistico di Talamone
Luciana finelli, Lo sventramento di Pienza e le “Case Nuove”
Paolo Micalizzi, Nuove fondazioni eugubine nel XII secolo: il quartiere di San Pietro ed il “castrum” di Costacciaro
Paola Falini, Collescipoli: riedificazione ed ampliamento di un centro minore umbro nel XIII secolo
Rita Argalia, Aspetti costruttivi nel rione della Mattonata a Città di Castello
Laura Contus, Edilizia medievale a Viterbo: una casa con “profferio” nel quartiere San Pellegrino
Umberto Michele, Città Ducale tra fondazione e sviluppo : la metrica urbana ed architettonica
Laura Zanini, L’impianto urbano le case medievali di Priverno
Enrico guidoni, Tiziano Mannoni, Roberto De Rubertis, Antonino Giuffrè, Letizia Pani Ermini, Apporti disciplinari e problemi di restauro