La Spina dei Borghi (1848-1930). Trasformazioni e restauri attraverso i fondi dell’Archivio Storico Capitolino

Di Federica Angelucci

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La proclamazione di Roma capitale dell’Italia unita costituisce nella storia della città un importante momento di svolta, non solo dal punto di vista politico-sociale e istituzionale, ma anche da quello storico-urbanistico.

Al riguardo è stato già sufficientemente rilevato come le caratteristiche della città tardo-ottocentesca non fossero adattabili senza pesanti trasformazioni alle necessità (reali o presunte) di una grande capitale europea; necessità legate non solo a fatti concreti, come, ad esempio, la crescente invasività del traffico veicolare o la diffusione dei nuovi edifici pubblici rappresentativi dello stato unitario, ma anche alle più sottili esigenze legate alla fioritura di un nuovo linguaggio urbanistico che, nello sviluppare soluzioni e modelli precedenti in forme inedite per ampiezza e regolarità, dalla ‘piazza a stella’ al viale alberato, hanno contribuito alla cancellazione di molte parti della città storica. La pratica dello sventramento è assunta come principale strumento operativo nella trasformazione delle preesistenze urbane, non solo in entrambi i piani ottocenteschi del Viviani, ma anche in quello ‘fascista’ del 1931.

Non dobbiamo stupirci se la commissione incaricata della redazione di quest’ultimo piano era diretta proprio dal principe Boncompagni Ludovisi, discendente di chi negli anni Ottanta dell’Ottocento si era reso responsabile della vendita e cancellazione dell’omonima, grandiosa, villa di famiglia che si estendeva nella parte settentrionale della città delimitata dal tratto della cinta Aureliana compreso fra le porte Pinciana e Salaria.

Se alle demolizioni realizzate ope legis si aggiungono quelle prodotte dai bombardamenti degli Alleati, si può ben comprendere come nel delineare i caratteri storicourbanistici della Roma contemporanea si possa riscrivere una storia, parallela a quella delle nuove realizzazioni architettoniche e delle espansioni urbane, dedicata alla Roma scomparsa; una città ‘altra’, bella e inquietante memoria di un patrimonio artistico-architettonico irrimediabilmente perso; un mosaico fatto di tessere inattuali ma di struggente bellezza; perle strappate dal filo che le teneva unite al tessuto della città storica.

La storiografia urbanistica e architettonica si è tradizionalmente dedicata con una certa continuità alla riflessione sulla Roma scomparsa, utilizzando le numerose testimonianze documentarie al fine di restituire alla contemporaneità un’idea delle bellezze perdute e carpirne le qualità e i segreti compositivi; ma la straordinaria ricchezza della documentazione iconografica sulla città storica, se costituisce una serie di riferimenti ineludibili a supporto di simili ricerche, tuttavia, paradossalmente, può anche rappresentare una difficoltà aggiuntiva, nel disorientare quanti vogliano procedere in tale impresa con metodologia sistematica.

Il saggio di Federica Angelucci sulla Spina dei Borghi s’inserisce con grande efficacia in questa corrente di studi, offrendo a essa una vitalità e una carica innovativa sostanzialmente nuove.

L’argomento è certamente di grande interesse, giacché la Spina – inopinatamente distrutta negli anni Trenta del Novecento per dar luogo alla realizzazione, con via della Conciliazione, di una nuova ‘strada con fondale’ intesa a dare la massima visibilità dal lungotevere alla basilica di San Pietro – costituiva uno dei brani più importanti e più accuratamente progettati della città quattro-cinquecentesca; ma ancora più significativo è l’approccio sperimentato dall’autrice a un tema così importante.

Difatti il limite costituito dalla particolare vastità della documentazione disponibile sull’argomento e, quindi, il rischio di compiere scelte non sufficientemente ponderate, è qui superato attraverso un’accorta selezione delle fonti basata sulla scelta, metodologicamente appropriata, di offrire sull’argomento un’ampia ed esaustiva disamina della documentazione strettamente progettuale. A tal fine sono stati utilizzati i preziosi documenti pre e post-unitari conservati nei fondi “Titolo 54” e “Ispettorato Edilizio” conservati presso l’Archivio Capitolino di Roma.

Non mi dilungherò nel commentare l’importanza di tali serie documentarie poiché al riguardo è qui, di seguito, pubblicata un’interessantissima “nota introduttiva” di Laura Francescangeli, una specialista della materia che offre un quadro dell’argomento particolarmente preciso ed efficace. Ciò che sono interessato a rilevare è la sistematicità con cui nello studio di Federica Angelucci è attivata una convincente serie di rimandi dal particolare al generale, in base al quale il documento, lungi dall’essere valutato solo per le sue specifiche qualità grafiche (spesso elevatissime), fornisce lo spunto per considerazioni di carattere più generale sull’architettura e l’urbanistica della Spina dei Borghi.

Per tal via, all’interno di un tessuto analizzato con l’attenzione al dettaglio e la curiosità dell’archivista o, addirittura, del collezionista, si sviluppa, in un gioco di specchi raffinato e rigoroso al tempo stesso, il più ampio disegno dell’interpretazione storiografica, fatto di differenze e analogie fra i vari edifici, così come di progetti, intenzioni e iniziative di vario ordine e grado, non sempre andate a buon fine: in altri termini, emerge l’identità della Spina in tutta la sua complessità storico-urbanistica, data dalla compenetrazione fra grandi e piccoli eventi, tra frammento architettonico e disegno urbano.

Ma, in senso lato, emerge anche il radicamento dell’autrice in quelle recenti espressioni della scuola guidoniana che, nella redazione di un innovativo strumento d’indagine quale il webgis “Descriptio Romae”, hanno concretizzato in una originale veste informatica la tradizionale esigenza di coniugare l’interpretazione storico-urbanistica alla ricerca archivistica.

Se quest’ultima esperienza ha definito nei termini generali i presupposti per la catalogazione della documentazione iconografica sul centro storico di Roma, la ricerca sulla Spina ha mostrato come, nel restringere il campo d’analisi a una parte della città ben definita e delimitata, sia possibile conseguire esiti particolarmente convincenti, precisi e controllabili; tanto da poter dare il via anche a nuove elaborazioni grafiche di notevole attendibilità e precisione.

Al riguardo, nel caso in questione si devono segnalare le belle modellazioni tridimensionali di piazza Scossacavalli redatte da Chiara Melchionna, una giovane studiosa che ha offerto al lavoro dell’Angelucci un’espressione rigorosa ed efficace.

E’ vero che in passato sono già state delineate altre rappresentazioni della piazza, come la magnifica incisione di Giuseppe Vasi centrata sulla chiesa di S. Giacomo, ma è pur vero che, fatta salva l’inimitabile bellezza dell’incisione settecentesca, il valore aggiunto della nostra modellazione tridimensionale è dato dalla mobilità e dinamicità della rappresentazione; cioè dalla possibilità di ricavare, dalla basilare struttura del disegno ricostruttivo, rappresentazioni plurime, colte da diversi punti di osservazione e, al contempo, di riportare su di essa, attraverso operazioni piuttosto semplici (rispetto alla mole del lavoro iniziale), le trasformazioni intervenute nel corso del tempo; attivando, con ciò, uno scambio continuo e serrato fra informazioni storico-descrittive, dati catastali e documentazione iconografica.

Lo studio in questione costituisce un esempio particolarmente precoce e completo delle mille possibilità d’indagine che si rendono praticabili dall’applicazione di metodologie analoghe ad altre parti della città storica. Per questo è facile prevedere – anticipando le intenzioni di un gruppo di studio numericamente limitato ma umanamente e scientificamente coeso, di cui (con chi scrive) fa parte l’autrice – che in un prossimo futuro verranno sviluppate ricerche di analogo tenore dedicate all’altra Roma, cioè alle parti della città storica demolite dopo l’Unità d’Italia. Il tutto, non tanto per recuperare in chiave nostalgica la memoria di quei luoghi, ma per attivare forme di conoscenza storicamente determinate che, nel ricollegare il passato al presente, grazie anche allo sviluppo di tecnologie informatiche sempre più efficaci e sofisticate, possano aprire alla storiografia urbanistica nuove possibilità di approfondimento ancora insondate nelle proprie vastissime potenzialità.

Paolo Micalizzi

La Spina dei Borghi (1848-1930). Trasformazioni e restauri attraverso i fondi dell’Archivio Storico Capitolino