“Veggiamo in Roma una bella statua di Venere di marmo pario, trovata al lato alle Terme Traiane da monsignor di Viterbo, condotto nella casa di messer Sebastiano Gualtieri da Orvieto, la quale è oltremodo vaghissima”: così Pirro Ligorio, nel Libro XXXIV delle antichità di Roma… nel qual si tratta delle inscrizioni di statue, tanto di dei come di eroi e altri uomini illustri, con altre cose diverse secondo l’occasione e dedicazioni fatte da diverse condizioni d’uomini, ricorda la passione antiquaria e la dimora del vescovo di Viterbo Sebastiano Gualtieri in prossimità delle Terme di Traiano; come riporta lo stesso Ligorio, in questa località lo stesso vescovo fa condurre scavi da cui trae antiche sculture di grande pregio, come “un’altra Venere [che] fu trovata cavando circa alle Terme Traiane, pure di marmo pario, ch’era in più pezzi; appiè di lei era Amore che portava la celata in spalla, et eravi la corazza di Marte… questa immagine così rotta l’ha monsignor Sebastiano Gualtieri vescovo di Viterbo (ibidem, c. 171r); l’immagine di un satiro “di monsignor di Viterbo in casa Gualtiere, trovato poco discosto all’Esquile, nel mezzo della valle interposta infra tre colli, l’Esquilino, il Viminale et il Quirinale” (ibidem, c. 224v); una base di statua di marmo di diversi colori” posta nella Basilica Iulia, “cavata… alle spese di messer Sebastiano Gualtieri d’Orvieto, vescovo di Viterbo” (ibidem, B. 7, c. 63r).
Lo stesso vescovo amplia i territori di scavo e di acquisizione a vario titolo: Ligorio cita la sepoltura del “musico libertino di Tiberio” Cleodemas, “trovato nella via Appia, lo quale ebbe monsignore Sebastiano Gualterio”, e le statue di Costantino e della madre Elena, rinvenute “in quel sito sotto dell’Aquedotto dell’Acqua Claudia, dal parte di dentro dell’orto di Santa Croce in Hierosolyme”, “a dì nostri trovate rotte e fracassate da monsignor Gualtieri episcopo di Viterbo”.
Le modeste dimensioni dell’attuale Casina Gualtieri inducono a ritenere che si trattasse di un semplice casino di vigna, probabilmente riutilizzante un manufatto preesistente, già rinnovato nel corso del XV secolo per alcune caratteristiche tipologiche, quali l’irregolarità dell’impianto e la presenza di scale esterne e vari ingombri, ed utilizzato dal vescovo come luogo di dilettevole sosta e punto di raccolta delle amate antichità che egli andava collezionando. […]
Altro da “Il tesoro delle città, VII”
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